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La "Cosa Nera"? AN-cronistica

La sconfitta elettorale cui è andato incontro Gianni Alemanno, nel disperato tentativo di restare per altri cinque anni al Campidoglio, ha scatenato una serie di riflessioni sull'eclissi di un'area politica postmissina che nel ventennio della Seconda Repubblica ebbe consistente peso elettorale e strategico.


I colonnelli e i luogotenenti della fu Alleanza Nazionale, nelle ultime settimane tormentate, si dicono pronti a concludere una lunga stagione di rancori, divisioni e reciproche delegittimazioni, pronti a porre fine alla diaspora e a ricostruire il partito di Fiuggi. Tutti insieme nuovamente, se non proprio appassionatamente, con lo sbandierato e nobile obbiettivo di "ridare agli italiani una rappresentanza politica di destra" oggi frastagliata e irrilevante, dopo la cannibalizzazione subita nella confluenza all'interno del PdL e il fallimento elettorale di tutte le sue espressioni partitiche successive.

Immaginiamo pertanto lo svolgersi di trattative serrate per definire la dotazione lessicografica di un nuovo vecchio soggetto che  riaccenda i cuori degli elettori desaparecidi: Storace col lemma "Destra" in maiuscolo, come da dicitura del suo movimento; La Russa e Meloni il richiamo all'imprescindibile inno nazionale, Menia l'aggettivo "nazionale" (oltre alla genealogia dei Tatarella), Alemanno il  "sociale", avendo ampiamente dimostrato di garantirlo benissimo a colpi di prebende e assunzioni degli amici.

Prontamente battezzata dai media come "La Cosa Nera", un nuovo punto di riferimento alla destra del Pdl che il gotha ex AN vorrebbe lanciare in occasione delle prossime elezioni Europee nella primavera del 2014. Eccitati dalla prospettiva, i nuovi vecchi protagonisti si sono prodotti in un tourbillon di riferimenti, citazioni e desiderata senza troppa coerenza logica.
Le nuove mappe ad esempio sono confuse: per ritornare a Itaca si guarda a Fiuggi. Parimenti la selezione del Panthéon pare un po' rocambolesca: si elude Fini, cioè l'uomo che ha miracolato questa classe dirigente fatta di molti profili modesti, ma si ricorda Almirante. Anche i riferimenti culturali prevedono accostamenti bizzarri, citando Prezzolini e il prezzolato Veneziani.

Insomma la Cosa Nera promette di avere i connotati di una AN 2.0 con evidenti venature missine e se i vecchi colonnelli ne faranno uno spazio politico a proprio uso e consumo o se si limiteranno ad esserne i padri nobili sarà da vedere. Certo la presunta ambizione di inseguire un rinnovamento attraverso la ricerca del "Renzi di destra" stride non poco con l'occhiolino strizzato a Giulio Tremonti e Magdi Allam. La réunion, con l'aggiunta di siffatti personaggi tenderebbe al downgrade più che ad un upgrade, una sorta AN 0.5 a voler essere gentili.

Gentili perché a immaginare questa miscela di destra sociale (cioè la sinistra di serie B, anzi C, anzi Z) sommata al colbertista dei tagli lineari e con l'apporto del giornalista teocon non si può che prevedere l'ennesimo contenitore statalista e interventista in economia, ultraconservatore sui temi etici e sociali.
Niente di nuovo. Niente di cui si sentisse particolarmente il bisogno in Italia.
L'operazione, definibile AN-cronistica di nome  e di fatto, nascerebbe già imperniata sui limiti storici e insuperati della galassia in cui operarono il Movimento Sociale prima e Alleanza Nazionale poi.

Nel corso dei suoi quattordici anni di vita, il partito di Fiuggi non riuscì a compiere la transizione verso modelli di destra di governo simili a quelli dei principali Paesi europei. La guida ferrea di Gianfranco Fini procedette a strappi su questo fronte, il simbolo della fiamma tricolore (con il suo patrimonio ideologico) rappresentò molto chiaramente il patto fondamentale cui era legata la classe dirigente e condizionò psicologicamente e politicamente l'azione e l'evoluzione del partito. Il miraggio gollista caldeggiato da Fini non decollarono mai.  Forse l'unico esperimento neocon venne abbozzato alle elezioni europee del '99 attraverso la lista dell'Elefantino (a cui aderirono Mario Segni e Marco Taradash), ma la prospettiva di una prossima esperienza di governo, portò Fini a tornare rapidamente sui suoi passi e a rimandare la competizione con il Cavaliere, visti anche il responso delle urne non brillante e le turbolenze interne.

Quei malumori attraversavano una classe dirigente, ma anche una base militante, che nella stragrande maggioranza proveniva dal MSI e dal suo retroterra culturale tradizionalista e identitario: guardava con diffidenza al mercato, alla società aperta, all'immigrazione, alla laicità dello Stato, all'integrazione europea. Insomma i quadri di AN erano molto più simili a Le Pen che a Chirac. Gli anni che seguirono furono sostanzialmente una desertificazione della cultura politica e le aperture avvennero principalmente al termine di percorsi personali piuttosto che di elaborazioni condivise.
Gli strappi culturali avvennero appena nell'ultimo periodo, principalmente dopo che AN si sciolse aderendo al PdL, quando Gianfranco Fini ebbe mani più libere, fino alla frattura da cui nacque FLI, che doveva farsi portatrice di rinnovamento nel campo del centrodestra, traducendo il lavoro della Fondazione Fare Futuro.


Chiarita l'assenza di una reale rielaborazione, non si capisce come il manipolo di ex colonnelli e le esigui constituencies di riferimento, di rito iniziatico orgogliosamente missino, possano oggi guardare convintamente a David Cameron o Nick Clegg per disegnare i crismi di una nuova destra.

La modernizzazione di cui necessita l'Italia ha bisogno di un'offerta politica capace di leggere i tempi e che sia sostenuta dalla cultura di un riformismo radicale.
Serve un partito che voglia veramente ridurre la spesa, abbassi la pressione fiscale, appoggi l'iniziativa privata, sostenga il merito e abbatta le rendite di posizione, che guardi con ottica laica la composizione della società italiana, allarghi i diritti e aumenti l'inclusione.

Serve un partito che sia antagonista delle coalizioni di sinistra e si proponga come egemone nell'area di centrodestra. Serve un partito liberaldemocratico con vocazione maggioritaria, non una riedizione della destra identitaria con i dirigenti dell'ultimo quarto di secolo. Serve una Cosa Nuova non una Cosa Nera. 






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